Archivi categoria: italia

Le croci di Blinisht

A Blinisht, villaggio dell’Albania settentrionale, ho visto qualche anno fa un cimitero che ricorderò per tutta la vita: una decina di croci bianche, piantate da un missionario italiano, ricordavano le ragazze partite per le nostre coste e mai più tornate indietro. È un fenomeno, quello della tratta, che dura ormai da una quindicina d’anni e che ha portato decine di migliaia di giovani donne sulle nostre strade: alcune volte con l’inganno amoroso, altre con la complicità delle famiglie, altre ancora facendo leva sul bisogno economico. Vai su Google, cerchi “prostituzione albanese in Italia” e ti trovi studi come quello di Gerd Buta, docente di Scienze politiche e strategiche:

Le ragazze vengono classificate in almeno cinque tipologie: le ragazze che vanno via di loro volontà; le ragazze che vengono prese con la forza; le ragazze che vengono imbrogliate; le ragazze che partono per continuare a fare le prostitute; le ragazze che vengono vendute dai loro genitori. Una ragazza passa attraverso varie fasi prima di cominciare a fare la meretrice: viene sistemata in una città lontana dalla sua piccola patria, prima della partenza; compie l’attraversata col gommone; viene sistemata in un’abitazione in un paese straniero, dove molto spesso viene tremendamente violentata e maltrattata, con lo scopo di farle perdere ogni dignità di essere umano, prima di uscire in strada per fare la prostituta; l’esercizio vero e proprio della prostituzione. Solo nel 1999 la delinquenza organizzata ha ucciso oltre quaranta ragazze che s’erano ribellate. Per superare il problema i delinquenti rapiscono i bambini di chi si rivolta, in maniera che così facendo, le madri siano indotte a continuare a prostituirsi. Negli anni novanta sono scomparsi oltre 1200 bambini albanesi. Una prostituta albanese può guadagnare in una notte sino a 500 euro, potendo tenere per sè solo il dieci per cento circa.

Se Berlusconi avesse un po’ di sensibilità su questo tema – visto che per un periodo è stato pure ministro degli Esteri – probabilmente non staremmo qui a parlarne. Invece, nella conferenza stampa con Berisha a Palazzo Chigi, ha detto che l’Italia bloccherà gli sbarchi, ma non tutti: “Faremo eccezione per chi porta belle ragazze”. E gli albanesi d’Italia, nel loro piccolo, si sono incazzati: prese carta e penna, una ventina di associazioni e centinaia di cittadini hanno scritto al premier una lettera aperta, dicendosi “profondamente indignati e offesi”.

(…) Nonostante il Premier italiano sia noto per le sue battute infelici, riteniamo che quanto da egli dichiarato sia un’affermazione offensiva nei confronti delle donne albanesi che vivono e lavorano onestamente in Italia e Albania, perché si prende beffa di una delle piaghe sociali più gravi della transizione democratica albanese: la tratta di esseri umani. Il premier italiano dovrebbe sapere che c’è già chi porta in Italia “le belle ragazze albanesi”, e le mette a lavorare come carne fresca sui marciapiedi italiani, oppure in finti centri benessere dove benestanti italiani si servono di loro per alleggerirsi dai loro carichi pesanti di lavoro e responsabilità. Sono i trafficanti di esseri umani e la criminalità organizzata che gestisce lo sfruttamento della prostituzione. Elevare un argomento cosi delicato e doloroso a inopportune battute sessiste e maschiliste offende il lavoro e l’impegno di quanti si battono affinché la donna non sia trattata come un oggetto, ma goda di pari opportunità.
Siamo profondamente dispiaciuti e addolorati che il Premier del Paese in cui viviamo, e del quale aspiriamo a diventare pieni cittadini, dimostri un atteggiamento altamente offensivo nei confronti del nostro Paese di origine e dia un immagine cosi arretrata dell’Italia. Chiediamo una rettifica e scuse formali a tutte le donne albanesi che vivono e lavorano in Italia.

La domanda, a questo punto, mi sorge spontanea: che cosa abbiamo fatto di male per meritare tutto ciò?

L’Italia in pugno

Non mi ero mai accorto, nei tanti anni di A sua immagine, di avere l’Italia in pugno. Non mi rendevo conto che a volte basta un versetto del Vangelo, una parabola, un ospite… e zàcchete, hai condizionato l’esito delle elezioni. Vuoi fare un piacere all’Udc, in campagna elettorale? Citi Matteo 6,3: “Non sappia la sinistra che cosa fa la destra”. Vuoi difendere il Pdl milanese, dopo che un suo consigliere comunale è stato pescato con la mazzetta in mano? Ripeschi Lc 16,8: “Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza”. Vuoi spostare valanghe di voti a favore del Pd? Inviti in trasmissione il deputato romano Giovanni Bachelet, con la scusa di farlo parlare dell’assassinio di suo padre. E per non dare nell’occhio, da gran furbo che sei, hai pensato proprio a tutto: la trasmissione è al di fuori di ogni sospetto (A sua immagine che fa propaganda per la Bonino: sei un genio del male!), alle Regionali manca ancora un mese e mezzo e – soprattutto – è proprio il trentesimo anniversario della morte di Vittorio Bachelet. Ma da oggi, signori miei, la pacchia è finita, l’inganno è stato smascherato, i burattinai del consenso verranno mandati a casa: la Rai ha infatti deciso di non trasmettere la puntata di A sua immagine prevista per oggi pomeriggio perché, al suo interno, c’era della pericolosa propaganda politica. C’era Giovanni Bachelet, appunto, che parlava di suo padre e del concetto di perdono, a trent’anni di distanza dalla famosa preghiera per gli assassini di Vittorio durante il funerale. Dice sempre il Vangelo, utilizzando il concetto del sabato ebraico, che la legge è fatta per l’uomo e non l’uomo per la legge. Il precetto vale pure per i regolamenti elettorali della Rai, il cui unico senso è impedire che la tv pubblica sposti voti da una parte o dall’altra; eppure, gli alti dirigenti che oggi ho contattato – per esprimere loro la mia incredulità e cercare di farli ragionare – mi hanno risposto che in Rai le leggi non si interpretano: si applicano. Tanto è vero che sabato prossimo, nella serata finale del Festival, il sindaco di Sanremo (di Centrodestra, perché l’ottusità non fa distinzioni) non potrà salire sul palco per consegnare il premio al vincitore. Né Giovanni Bachelet, né Maurizio Zoccarato sono candidati alle prossime elezioni: il primo è un parlamentare, e non si vota per le Politiche; il secondo è un sindaco eletto da pochissimo, dunque a Sanremo non si vota per le Amministrative. Non la tiro troppo per le lunghe e mi limito a due commenti. Il primo è che, nella società di oggi, tutto è politica e dunque tutto potenzialmente sposta voti: le canzoni di Povia (che l’anno scorso, con il gay tornato etero, erano considerate di destra e quest’anno, con Eluana, di sinistra), le puntate di Linea blu (che possono far vedere una spiaggia tenuta bene o male e dunque danno un messaggio subliminale sull’amministrazione locale), perfino il campanilismo regionale quasi leghisteggiante dei pacchi di Affari tuoi. L’unico modo per non rischiare, allora, è quello di mandare in onda il monoscopio, da qui al 28 marzo, così almeno uno sintonizza bene il digitale terrestre. La seconda considerazione riguarda un’altra metafora evangelica, quella della trave e della pagliuzza: avevo sempre creduto che il problema di un’informazione squilibrata in Italia fosse il conflitto di interessi, ma evidentemente mi sbagliavo.

Ps. Qui trovate la mia intervista su L’Unità

Zitti tutti, tranne uno

Non so se parlare anch’io di bavaglio all’informazione, ma di certo la decisione di irreggimentare i talk show politici nell’ultimo mese di campagna elettorale pone qualche problema serio. Il radicale Marco Beltrandi, relatore del provvedimento, ha provato a convincermi che si tratta di una decisione giusta e mi ha ribadito che niente viene cancellato: se Ballarò vuole continuare a parlare di crisi economica, ad esempio, può farlo invitando i protagonisti del settore, dagli industriali ai consumatori, dall’operaio al datore di lavoro, dal commercialista al disoccupato, dall’evasore fiscale incappucciato al parroco che paga le bollette della luce per le famiglie povere. Pure Emma Bonino ieri sera minimizzava, durante la puntata di Annozero, ma la realtà non ha bisogno di molte interpretazioni: chi d’ora in poi inviterà politici dovrà adeguarsi alle regole rigide delle tribune elettorali, che vanno dal contingentamento dei tempi all’inquadratura solo di chi parla (senza smorfie altrui), dall’assenza di applausi alla rotazione di tutte le forze politiche secondo criteri precisi. A me sembra che l’idea sia, con rispetto parlando, una tipica idea radicale: fermissima sui principi, ispirata all’onestà ed alla trasparenza, incontestabile in un mondo perfetto ed in un Paese diverso dall’Italia. Il problema principale, da noi, si chiama conflitto di interessi: la Commissione di vigilanza ha infatti potere solo sul servizio pubblico, mentre nulla può sulle tv private. Che purtroppo, qui da noi, hanno un unico proprietario. E togliere i talk show sulla Rai senza toglierli a Mediaset non mi pare un’idea geniale per garantire quell’equilibrio informativo che la par condicio richiederebbe: sulle reti pubbliche si va con il cronometro, gli ospiti a rotazione e le inquadrature fisse; su quelle del premier, invece, si fa un po’ come si vuole, a meno che non intervenga l’Agenzia per le comunicazioni. Siccome l’Agcom di solito abbaia parecchio e morde poco, e siccome Berlusconi straborda già di suo, possiamo capire tutti come andrà a finire. C’è un altro aspetto, poi, che diversi esperti del settore sottolineano: vuoi per il disinteresse generale verso i contenuti, vuoi per la spettacolarizzazione della politica e lo scivolamento dell’informazione nell’infotainment, obbligare la Rai alle tribune politiche in prima serata significa far crollare gli ascolti e dunque la pubblicità. Un altro favore a Mediaset, insomma, e stavolta dal punto di vista economico. I motivi per cui i deputati di Centrodestra abbiano votato una misura del genere, allora, sono facilmente comprensibili; volendo se ne trova anche un altro, che deriva da un calcolo politico: fermare Annozero, Ballarò e In mezz’ora, secondo loro, valeva bene il sacrificio di Porta a porta (che va sempre in seconda serata e dedica una puntata su tre a temi leggeri) ed il nuovo approfondimento di Paragone (che vedono in pochi). Si capisce anche l’atteggiamento dell’Udc, che – per tenere caldo il forno di destra – ha deciso di non uscire dalla Commissione insieme a noi, in modo da garantire il numero legale: poi, a cose fatte, Casini ha detto che si trattava di un provvedimento liberticida, tanto per non far raffreddare troppo il forno di sinistra. Resta da capire perché i radicali si siano prestati a questo gioco: un po’ è certamente per quell’atteggiamento più idealistico che pragmatico di cui parlavo sopra, un po’ per far pagare al Pd il sostegno alla decisione di escludere dagli spazi televisivi, nella prima fase della campagna elettorale, tutti i partiti minori tranne la Destra di Storace. Continuiamo a farci del male.

L’affare si ingrossa

Non resisto alla battuta, scusate, ma qui l’affare si ingrossa. Ed ancora una volta – come facevo notare tempo fa, citando episodi pluripartisan – è difficilissimo, se non impossibile, distinguere il pubblico dal privato: cerchiamo, allora, di essere obiettivi. Se Bertolaso vuole “dare una ripassata a Francesca”, problemi suoi e della sua vita coniugale. Il discorso cambia, però, se ad organizzare la ripassata – questa e probabilmente altre dello stesso genere, come emerge dalle intercettazioni pubblicate da Repubblica – sono i proprietari del Salaria sport village, impianto sportivo già posto sotto sequestro alla vigilia dei Mondiali di nuoto e costruito in barba ad ogni logica umana, con una piscina addirittura sotto il livello del Tevere. Come hanno fatto a vincere la gara dell’appalto, con un progetto del genere? Semplice: non partecipando a nessuna gara, visto che lo stato di emergenza consente alla Protezione civile di derogare ad ogni bando. E chi è il capo della Protezione civile, colui che alla fine decide sugli appalti? Bertolaso, appunto. Può darsi che – come dice l’avvocato del futuro ministro – siamo di fronte ad un equivoco colossale, e personalmente me lo auguro: sarebbe difficile, altrimenti, convincere gli italiani che nella classe politica ci sia anche una sola persona perbene. Tifo per l’innocenza di Bertolaso, dunque, anche se mi converrebbe il contrario: o in questa storia c’è qualcosa di sporco, oppure diventa difficile dar torto a Berlusconi quando vede persecuzioni giudiziarie dappertutto. Tifare per Bertolaso, però, non significa anestetizzarsi il cervello, e così stamattina in Aula sono tornato alla carica sui mondiali di nuoto: se 7 mesi fa avevo ragione a volerci veder chiaro, oggi ne ho ancora di più. Eppure, il governo non mi risponde.

ANDREA SARUBBI. Signor Presidente, sui giornali di oggi la notizia principale è quella delle indagini per alcuni presunti illeciti che riguardano il sistema della Protezione civile: illeciti che, come si legge nelle inchieste, riguarderebbero alcuni eventi programmati da tempo, fra cui i mondiali di nuoto svoltisi a Roma nel luglio dello scorso anno. Ci sono delle presunte responsabilità di alcuni imprenditori che hanno costruito degli impianti molto importanti qui a Roma per i mondiali di nuoto e c’è – si dice – anche una collusione da parte di settori della Protezione civile. A questo proposito vorrei sollecitare la risposta a un’interrogazione che presentai a luglio dello scorso anno e che, all’epoca, fece notizia perché sembrava che volessi remare contro i mondiali di nuoto. In realtà, volevo soltanto la chiarezza che buona parte della società civile chiedeva a noi del Parlamento. Vi erano diversi comitati civici – e ci sono ancora – che avevano seri dubbi su ciò che stava accadendo: si parlava di impianti varati senza collaudi, di villaggi sportivi sorti a ridosso del Tevere ben sotto il livello del fiume, e lo stesso fiume era esondato due volte mentre i cantieri erano allestiti. Si parlava, soprattutto, di autorizzazioni date per costruire impianti pubblici, che poi erano stati improvvisamente trasformati in impianti privati. Non essendoci un Ministero dello sport in questo Governo, chiedo al Presidente del Consiglio di fare chiarezza. Non so se posso aspettarmi una risposta direttamente da lui, o se dovrò attendere che il dottor Bertolaso diventi Ministro per averla da lui in persona. In un modo o nell’altro, spero che il Governo mi risponda e, soprattutto, che risponda a quei cittadini che oggi ne chiedono conto: visto che siamo qui per rappresentarli e anche per fugare i loro dubbi. Dubbi che i giornali di oggi dimostrano non essere poi così campati in aria.

Tanto per dare un’idea del giro di soldi, la Corte dei Conti – sollecitata da un esposto dei Verdi – ha aperto un’inchiesta sui 550 milioni di euro spesi per opere non utilizzate nel corso dei Mondiali di nuoto e rimaste lì, come cattedrali nel deserto. Tipo il Polo natatorio di Ostia, su cui i comitati civici stanno cercando di fare trasparenza. Ed ogni giorno ne scoprono una: tipo questa della piscina olimpionica costruita con le misure sbagliate. E qui, se volessi essere triviale fino in fondo, potrei concludere che quelle di Francesca, invece, erano giuste.

Il contagio

Alle dimissioni di Guido Bertolaso non abbiamo creduto neanche un attimo, perché immaginavamo che la sua remissione del mandato sarebbe stata respinta: di fronte ad un uomo disposto a farsi da parte, “per non intralciare il lavoro degli inquirenti”, il nostro presidente del Consiglio temeva probabilmente il rischio del contagio. Ma il gesto, comunque, è da apprezzare, perché almeno dimostra che in questo governo c’è sottosegretario (Bertolaso, appunto) e sottosegretario (Cosentino, sempre lì). Due parole sul merito della questione, prima di andare avanti. Come già accadde per le Olimpiadi di Torino e per i mondiali di nuoto (a proposito: la mia interrogazione parlamentare attende ancora una risposta), anche per il G8 della Maddalena si è caduti nel vizietto di sempre: quello di trattare un evento programmato da tempo come se fosse un’emergenza. Lettura superficiale: e che ci vuoi fare, noi italiani siamo fatti così, diamo il meglio nelle emergenze, mica siamo svizzeri! Lettura più profonda: se organizzi un evento con le procedure ordinarie è tutto più complicato, perché devi fare i conti con la trasparenza, la competizione e le verifiche. Il modo per evitare queste rogne, dunque, è decretare lo stato di emergenza e delegare il tutto alla Protezione civile: a quel punto, tanto per dirne due, non c’è piano regolatore che tenga, né c’è procedura di appalto da rispettare. Le emergenze in Italia esistono davvero – dai terremoti alle alluvioni, mi pare che nell’ultimo anno non ci siamo fatti mancare nulla – e la nostra Protezione civile, dunque, avrebbe abbastanza lavoro già di suo. Invece, come raccontava Repubblica nelle settimane scorse, è già stata incaricata di organizzare il congresso eucaristico nazionale ad Ancona nel 2011 o il 400esimo anniversario dalla nascita di San Giuseppe da Copertino, come se fossero calamità improvvise. E presto potrebbero toccarle la gestione del piano carceri e quella dell’expo di Milano: prima, però, verrà trasformata in una società per azioni, in modo tale da uscire completamente dal controllo del Parlamento. Il decreto dovrebbe essere in Aula la prossima settimana, ma oggi – durante la conferenza dei capigruppo – noi abbiamo chiesto (e non ottenuto, temo) un rinvio:

DARIO FRANCESCHINI. (…) È del tutto evidente che deve esserci una netta distinzione tra le vicende giudiziarie e le scelte politiche, però è altrettanto chiaro che, nel momento in cui si sono avviate delle iniziative giudiziarie nei confronti di alcuni esponenti di rilievo della Protezione civile – alla quale, voglio ripeterlo in modo molto chiaro, va tutta la nostra solidarietà per tutto quel patrimonio di volontari, di impegno e di strutture formidabili che lavorano nella Protezione civile – è assolutamente inopportuno, dopo la giornata di oggi, portare a conversione un decreto-legge che prevede la totale soppressione, attraverso la formazione della Protezione civile Spa e la privatizzazione di tutte le procedure, di ogni garanzia di pubblicità delle gare e delle aggiudicazioni. Aggiungo che in quel decreto-legge, all’articolo 3, comma 5, vi è una norma che fa impallidire nella sua sostanza ogni tentativo precedente di lodi, di leggi ad personam o di tentativi di ostacolare il normale svolgimento delle vicende giudiziarie. È un comma molto chiaro, fin troppo chiaro, il comma 5, che dice esattamente questo: «Dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge e fino al 31 gennaio 2011 non possono essere intraprese azioni giudiziarie e arbitrali nei confronti delle strutture commissariali e quelle pendenti sono sospese». (…) Non solo si sospendono i procedimenti in corso (in questo caso), ma è vietato iniziare azioni giudiziarie. Penso che a maggior ragione, dopo la giornata di oggi, il Governo dovrebbe avviare urgentemente una seria riflessione e rinunciare a quella parte del decreto-legge o, quanto meno, a questa norma (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

Per capirci, insomma, il nuovo decreto fisserebbe una sorta di immunità giudiziaria per gli operatori della Protezione civile. Inoltre, grazie alla legge fresca fresca sul legittimo impedimento, la nomina di Bertolaso a ministro lo porrebbe al riparo di ogni eventuale processo. Se un contagio con Berlusconi ci sarà, insomma, sarà purtroppo nell’altro senso.