Se il Parlamento è di fatto espropriato dei poteri, se i giudici si sentono minacciati, se la stampa non si sente libera, in un Paese rimane solo il potere esecutivo. Che a questo punto riesce a scriversi leggi su misura, ad evitare che l’applicazione di quelle esistenti dia fastidio e persino a fare in modo che tv e giornali parlino bene di tutto ciò. Non so se il virus dipietrista oggi abbia contagiato anche me, ma questa riflessione mi è venuta in mente da sola, stamattina, quando ho visto la protesta dei magistrati all’apertura dell’anno giudiziario. E mi è tornata, ancora più forte, quando ho sentito il ministro della Giustizia dichiarare aperto l’anno giudiziario: roba da farsi bocciare al primo esame di diritto, perché nel nostro ordinamento è la magistratura a decidere su se stessa, ma pure lapsus freudiano non trascurabile, che conferma l’ormai palese tentativo, da parte del governo, di invadere il campo. Il quadro che abbiamo sentito stamattina, dai vari presidenti delle Corti d’appello, è davvero devastante: siamo a livello dell’Africa subsahariana, con tutto il rispetto per il Sahara, eppure ci stiamo preoccupando – lo faremo in Aula da martedì, alla Camera – di un solo imputato. E dei suoi problemi con la giustizia, anziché dedicarci ai problemi della giustizia, che pure non mancano. A cominciare dalle cose più banali: almeno 3 mila buchi nell’organico, locali fatiscenti, neppure i soldi per fare le fotocopie, attività informatica esternalizzata con risultati insufficienti. Provateci voi a lavorare così, hanno detto oggi i magistrati, che dall’inizio della legislatura il Centrodestra sta cercando di far passare per fannulloni: come va ripetendo il ministro Brunetta – abilissimo a cavalcare gli umori del popolo – i giudici in Italia sono troppi, lavorano poco e costano ancora di più. In un clima del genere, è difficile trovare un punto d’intesa. Ma il Pd – a differenza dell’Idv, che può permettersi di urlare e basta – ha il dovere di provarci, almeno laddove è possibile farlo. Ecco perché vi invito a leggere qualche passaggio dell’ultimo intervento in Aula del nostro responsabile per la Giustizia, Andrea Orlando, davanti al ministro Alfano:
ANDREA ORLANDO. Signor Ministro, (…) lo scorso anno indicò con crudezza i limiti del sistema, i termini dell’emergenza giustizia: la mole dei procedimenti, la situazione delle carceri, le disfunzioni dei tribunali, i limiti – che ci sono – dell’autogoverno della magistratura, gli sprechi.
In questi mesi, però, noi non ci siamo occupati di questo. Dei quasi 9 milioni di procedimenti civili e penali pendenti davanti ai nostri tribunali, una porzione molto circoscritta ha attratto la vostra attenzione, alcuni processi con imputazioni, sedi e tempi diversi, ma che in comune hanno una cosa: l’imputato. Proprio in questi giorni si è registrato il punto più alto del vostro sforzo riformista: la Camera è impegnata a discutere del legittimo impedimento, il Senato ha approvato il processo breve, il Governo forse – su questo le notizie sono controverse – discute dell’opportunità di emanare un decreto-legge per affrontare un singolo passaggio processuale. Con involontario umorismo, da una parte, si promette il processo breve, appunto, e, dall’altra, si studia una norma che eloquentemente viene titolata «blocca processi».
(…) Ma il tributo più alto alla vostra disattenzione è pagato dalla giustizia civile. Siamo lieti che lei individui oggi questa come una vera emergenza, però facciamo notare che la riforma del processo civile è ferma non per oscure resistenze corporative, che costituiscono sempre un alibi formidabile, ma per il fatto che il Governo non ha ancora emanato i decreti attuativi previsti dalla legge delega, nonostante il fatto che la crisi abbia reso ancor più dirompenti le disfunzioni di quel settore.
L’incertezza dei rapporti tra privati pesa, e molto, sulla competitività degli investimenti, ma prima ancora delle ricerche ce lo dicono gli imprenditori che incontriamo, soprattutto i più piccoli. Privati e aziende in crisi fanno oggi una cosa semplice: non pagano i fornitori. I tempi e l’efficienza della giustizia civile, la durata della procedura di fallimento certamente non disincentivano questo tipo di condotta. Di questo non si parla mai o quasi mai. Signor Ministro, se il 2010 è l’anno in cui intende far qualcosa per mettere questo tema al centro dell’attenzione troverà la nostra collaborazione.
(…) Voi dite di avere a cuore l’obiettivo di una ragionevole durata del processo: dimostratelo, tirate via le norme che riguardano i processi in corso, tutti i processi. Così facendo, noi lavoreremo per raddrizzare una legge che giuristi, magistrati e stavolta anche gli avvocati vi dicono essere storta, a prescindere dal suo carattere ad personam. Tuttavia, condurremo ogni forma di lotta consentita, qui e fuori, per impedire che questa legge, così com’è, sia approvata, per consentire di insabbiare 1.000, 100 o anche soltanto un processo.
Signor Ministro, lei ha detto che esiste un diritto ad avere giustizia in termini ragionevoli ed è vero. Non lo si può realizzare, però, negando ad alcuni il diritto ad avere giustizia tout court. Riteniamo che le famiglie delle vittime della Thyssen e dell’Eternit, le famiglie truffate da Tanzi, così come le migliaia di parti lese interessate nei processi che rischiano di non concludersi per effetto della vostra legge, abbiano diritto a chiedere ed ottenere giustizia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). (…) Noi non ci faremo inchiodare sulla difesa delle cose così come stanno e riguardo a ciò, signor Ministro, mi piacerebbe prima o poi che rispondesse ad una domanda. Dopo tanto tuonare di garantismo, oggi un povero disgraziato che entra nel circuito penale italiano è più al sicuro di un anno e mezzo fa, quando voi siete andati al Governo? Io credo decisamente di no (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). (…) Noi stiamo con la sovranità popolare e da questo punto di vista non abbiamo paura delle riforme e del cambiamento, ma fino ad oggi non abbiamo visto né riforme né cambiamenti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).