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Burattino senza fili

Non so cosa voglia dire l’aggettivo ruiniano, ma credo che il primo a dolersene sarebbe il cardinale Ruini, se leggesse l’articolo che Italia oggi ha scritto su di me. Intanto, perché c’è una ricostruzione della mia candidatura che è esattamente l’opposto di come sono andate le cose: non solo il cardinale Ruini non ha mai caldeggiato la mia messa in lista, ma credo che – se avesse potuto – mi avrebbe pure legato ad una sedia per impedirmelo, perché ad un anno e mezzo di distanza posso raccontare tranquillamente che la mia candidatura nel Pd provocò più di un imbarazzo alla Chiesa cattolica italiana. Un imbarazzo comprensibilissimo, devo riconoscerlo: ero il volto di A sua immagine, la trasmissione cattolica di Raiuno prodotta in convenzione con la Cei, e c’erano tanti altri credenti candidabili, magari più “organici” di me e decisamente meno “chiassosi” da un punto di vista mediatico. Ma io ero determinato ad accettare la proposta di Francesco Rutelli (avallata da Walter Veltroni) e dalla Cei non ricevetti nessuna telefonata per sconsigliarmelo, a testimonianza – se mai ce ne fosse bisogno – che questa vulgata dei burattini cattolici tirati per i fili dai vescovi non corrisponde al vero. Il secondo errore sta nell’espressione “di successo” (sono sempre un peón, come mi ha ricordato il ministro La Russa), ma la prendo come un augurio e me la tengo stretta. Leggetevi l’articolo di Franco Adriano e poi, se volete, commentate.

C’è un ruiniano di successo nel Pd
Su ispirazione del presidente Cei e tramite Rutelli era passato da Rai1 alla Camera
Sarubbi non sembra scontare il peccato di origine come la Binetti

Sarà per ragioni di età o per il suo appeal da conduttore televisivo («A sua immagine», Rai1) decisamente superiore a quello di Paola Binetti. Ma nel Pd c’è un seguace del cardinale Camillo Ruini che non sconta il peccato di origine, ma che anzi ha un gran successo nel partito. Si chiama Andrea Sarubbi. È deputato come la Binetti grazie all’ispirazione dell’ex presidente della Cei e il tramite di Francesco Rutelli. E sta imparando a muoversi bene in politica. Gli sono di certo serviti il liceo classico dai gesuiti, una tesi sul paragone tra la Lega nord ed il Fronte dell’Uomo qualunque («pubblicata mi ha fatto vincere un premio letterario»), i passaggi in radio Vaticana e in Rai. Solo Rosy Bindi sembra non dimenticare da dove proviene e non gliene passa una. L’altro giorno, quando ha organizzato un pranzo vegetariano a Montecitorio per sostenere il suo progetto di legge: «Norme per la tutela delle scelte alimentari vegetariana e vegana», l’esperimento è andato molto bene. «Al di là di qualche sfottò», ha confessato sul suo blog, «dei carnivori più accaniti (Rosy Bindi in testa)». Che deve esserselo sbranato. Tuttavia, lui appare più abile della Binetti a non cadere nelle trappole politiche che continuano a essere tese a quelli come lui. Sì, sull’omofobia si è smarcato dall’esponente appartenente all’Opus Dei sul voto in aula, ma un secondo dopo si è lanciato in sua difesa. Ancora dal suo blog. «Nonostante la nostra amicizia», si legge, «Paola Binetti non mi cita tra i parlamentari a lei più vicini (in una intervista al Corriere della Sera ndr), e so benissimo che non si tratta di una scortesia: il voto sull’omofobia, tanto per fare un esempio, ha mostrato che, su alcuni temi, tanto vicini non siamo». Una scelta opportunistica del tipo: la Binetti affonda ed è utile non affondare con lei? Forse anche. Ma Sarubbi non esita a pigliarsela con tutti e tre i candidati segretari del Pd: «Nel giro di pochi minuti, Paola Binetti è diventata un’arma congressuale da puntare contro la mozione avversaria» ha rilevato Sarubbi, «attacchi a Franceschini da Marino e Bersani, Dario non vuole la patata bollente e minaccia l’espulsione, lei dice che allora voterà Bersani ed improvvisamente i franceschiniani si ringalluzziscono, mentre i bersaniani usano toni più concilianti e Marino continua a picchiare. Ma siamo scemi, signori miei»? Il nuovo prototipo del ruiniano nel Pd, dunque, appare più conciliante, ma non lo è. E tra un ex comunista, un ex democristiano e un laico estremo, non ci sono dubbi. Basta leggere la riflessione di Sarubbi dopo il confronto dei tre candidati segretari, ieri, su Youdem tv. «Se avessi avuto qualche dubbio su chi votare alle primarie», ha scritto ieri sera, «la diretta di oggi su Youdem me lo avrebbe tolto dopo un quarto d’ora: il tempo di sentire Bersani prendere a calci l’articolo 67 della Costituzione, in nome della disciplina di partito, e Marino ripetere la famigerata frase del Lingotto sul «chi non si sente laico dentro può anche fermarsi un giro e stare a casa». Mai come oggi, ho avuto chiaro che la mia scelta per Dario Franceschini è anche un atto di legittima difesa: chiunque vincesse degli altri due, infatti, mi toglierebbe il diritto di votare (come ho fatto e rifarei) contro il mutuo ventennale da 4 miliardi di euro per Gheddafi, o di astenermi (come ho fatto e continuerò a fare) sulle missioni internazionali fino a quando non aumenteranno i fondi per la cooperazione, o di dissentire dalla maggioranza del partito (come non ho ancora fatto ma potrei fare) su alcune delicatissime questioni etiche».

Annotazione a margine: avete visto quante citazioni dal blog? Vuoi vedere che, piano piano, tutta questa faticaccia comincia a dare frutto?

La rabbia ed il coraggio

Mi dispiace non averne parlato prima, perché in questi giorni non so davvero a chi dare i resti, ma ieri ed oggi si sta svolgendo a Roma un convegno che abbiamo organizzato con l’associazione PeR, Persone e Reti, tra i cui fondatori figuro indegnamente anch’io. Si intitola “La rabbia ed il coraggio”, perché – come diceva Sant’Agostino – rabbia e coraggio sono i due figli della speranza: la rabbia nel vedere come vanno le cose, il coraggio di vedere come potrebbero andare. Un giorno e mezzo di dibattiti (il pomeriggio di ieri, la giornata di oggi) per riflettere sul tema dei laici credenti: un’espressione che a me piace molto più di quel “cattolici” che viene spesso utilizzato in contrapposizione ai “laici” duri e puri. Non vi starò a raccontare i lavori per filo e per segno (intervengo anch’io, parlando del mio sforzo di dialogo in questa avventura della proposta di legge sulla cittadinanza), ma ci tengo a farvi riflettere su un po’ di numeri: quelli emersi da un sondaggio che abbiamo commissionato all’Ipsos sul mondo cattolico dopo le elezioni del 2009. Perdonatemi lo stile, ma nel tentativo di essere chiaro vado per punti.

1. Il cattolico praticante in Italia è in maggioranza una donna sopra i 55 anni, spesso meridionale, con una scolarità non elevata. Politicamente tende a collocarsi fra il centro ed il centrodestra, ma più sale con l’età e più si colloca al centro. Il cattolico saltuario, diffuso nella fascia 25-54 anni, ha una scolarità media e svolge lavoro autonomo, ma può essere anche un impiegato, un operaio o affine; tende a collocarsi anche lui fra il centro ed il centrodestra. I non praticanti (spesso nella fascia 25-34 anni, residenti al centro-nord) si collocano a sinistra; i non credenti (18-34 anni, laureati, studenti o professioni elevate, residenti nel centro-nord e nei comuni grandi) si autocollocano fra il centro-sinistra e la sinistra. Questo mi fa pensare che il Pd (nato per essere un partito di popolo, attento agli strati bassi della popolazione) non riesce a convincere la famosa casalinga di Voghera (in questo caso di Catanzaro, ma il discorso non cambia).
2. Guardando ai dati delle Europee tra i cattolici praticanti, il Pdl prende il 6% in più rispetto alla media nazionale, l’Udc il 4% in più, la Lega e l’Idv l’1% in meno, il Pd il 3,5% in meno. Più della metà dei cattolici praticanti, insomma, dà la preferenza al Pdl o alla Lega; lasciando da parte l’Udc, il partito che di gran lunga viene considerato “più rappresentativo dei valori cattolici” anche da chi non lo vota, mi fa riflettere il grande scarto fra chi considera tale il Pdl (22%) e chi il Pd (10%). A mio parere, ma potrei sbagliarmi, significa che al cattolico medio interessano sia la difesa della vita che quella dei poveri, ma se proprio deve scegliere sceglie la prima.
3. Alla domanda specifica sul mio partito (“Il Pd è capace di rappresentare anche i valori e le opinioni dei cattolici italiani?”), si nota un grande scarto fra le elezioni del 2008 ed il momento attuale: un anno e mezzo fa c’era molta più fiducia (28% per “sicuramente”, 36% per “solo in parte”), oggi la percezione positiva scende (23% “sicuramente”, 35% “solo in parte”) mentre cresce l’idea che il Pd sia “egemonizzato dalla sinistra laica” (21% nel 2008, 30% ora). Qui non c’è grande bisogno di commentare: la perdita di fiducia dei cattolici nel Partito democratico è rimediabile ma evidente, ed è difficile non vederci un richiamo alle discussioni sul fine vita.
4. La condotta personale del premier, emersa dalle cronache estive, non ha cambiato quasi nulla: di questa opinione sono circa il 57% degli intervistati, e la percentuale regge anche fra i cattolici impegnati o comunque assidui. In ogni caso, chi si è allontanato dal Centrodestra si è spostato verso l’Udc oppure, in misura uguale, si è distaccato dalla politica perché deluso. Poco significativo il passaggio dal Pdl al Pd.

Le mie sensazioni sono essenzialmente due. Da un lato, come laico credente, credo che la Chiesa (intesa come popolo di Dio nel suo insieme) abbia bisogno di qualche vitamina perché lo stato di salute non mi pare incoraggiante. Dall’altro, come innamorato del Partito democratico e del suo progetto iniziale, credo che qualche vitamina farebbe bene pure a noi, se non vogliamo condannarci al ruolo di partito di nicchia.

Silvio’s version

Gli spunti per ironizzare oggi non mi mancano: ci pensavo ieri sera, quando in macchina ascoltavo la diretta dell’intervento di Silvio Berlusconi alla festa dei giovani Pdl. Propaganda allo stato puro, così esagerata che ad un certo punto non capivo più se fosse veramente lui o l’imitazione che ne fa Sabina Guzzanti. Mi sono infastidito subito, quando ha rimarcato il sorpasso su Alcide De Gasperi come premier più longevo del dopoguerra, ma poi l’ho presa a ridere e sono anche riuscito a divertirmi: come quando ha detto di avere evitato una guerra nucleare (“Vi ricordate la foto di me che tengo per mano Obama e Medvedev?”), quando ha fatto capire di essere lo spin doctor degli Usa in materia di economia (“Bush aveva lasciato che fallisse Lehman brothers, poi sono andato io e due giorni dopo la Casa Bianca ha deciso di investire 700 miliardi di dollari”), o quando ha legittimato la sua candidatura al Nobel per la pace, raccontando le cinque ore passate al telefono per risolvere la crisi in Georgia, e su questo Paolo Guzzanti qualcosa da dire magari ce l’avrebbe. Ma il problema, più che le parole di Berlusconi in sé, l’ho percepito nella reazione della platea: mi aspettavo risate, o quanto meno un imbarazzato silenzio, ed invece dai giovani del Pdl arrivavano parecchi applausi. Così mi sono intristito di nuovo, perché – guardando soprattutto a Giorgia Meloni, al suo impegno serio ed alla sua onestà intellettuale – pensavo che la nuova generazione del Centrodestra fosse un po’ diversa, meno spensierata e meno cinica di quanto sia stata dipinta finora. Ieri sera, invece, li sentivo applaudire e non riuscivo a capire se veramente credono alle favole o se invece – come mi auguro, perché sarebbe il male minore – stavano solo partecipando ad un gioco di ruolo in cui il leader parla e la platea gli va dietro a priori. Più che di politica, però, oggi vorrei parlare un attimo di comunicazione: ieri sera ho avuto la conferma che quella berlusconiana procede per semplificazioni ai limiti dell’inverosimile, nel tentativo di fornire all’uomo della strada un concetto semplice da ricordare. Magari falso, ma verosimile e dunque – nel gioco delle semplificazioni, dove tutto viene tagliato con l’accetta – diventa vero, se viene messo al posto giusto. Esempio 1: da quando ha problemi con la Chiesa, il presidente del Consiglio ha rispolverato il termine “cattocomunisti”, che non si sentiva da un po’, e poco conta che il direttore di Avvenire non sia certo di quella parrocchia, perché la gente comune non lo sa e la semplificazione funziona. Esempio 2: la foto con Obama e Medvedev, di cui sopra, per rivendicare il ruolo di peacemaker internazionale. Poco importa che qualcuno potrebbe chiedersi come mai le foto di Villa Certosa, invece, non fanno testo: la gente comune non se le ricorda e la semplificazione funziona. Esempio 3: per legittimare il suo no alla legge sulla cittadinanza, dicevo l’altro giorno, Berlusconi ha inventato la favoletta dei 6 milioni di immigrati irregolari che prenderebbero il barcone dalla Libia per venire qui a votare Pd. Ma qui casca l’asino, perché Fini non vuole passare per fesso, e così – dopo la telefonata di ieri – il premier ha cercato di metterci una pezza, sempre nello stile delle semplificazioni: “C’è stato un fraintendimento, perché pensavo che il presidente della Camera si riferisse agli immigrati irregolari”. Dopo aver notato che la toppa è peggiore del buco, perché neppure Ferrero distribuirebbe cittadinanze italiane a profusione sui barconi provenienti dalla Libia, non resisto però alla tentazione di regalarmi mezza riga di dietrologia: sulla mia proposta di legge, signori, qualcosa sta cambiando. E noi incrociamo le dita.

Repetita iuvant

A fine luglio, 15 deputati del Partito democratico (inter quos ego, oggi mi sento un latinista) scrivono al proprio giornale di partito, per contestare la pubblicazione di una striscia sullo sbattezzo, giunta ormai all’undicesima puntata. Provengono da aree politiche diverse (ex popolari, Red, veltroniani, lettiani, rutelliani…), ma hanno in comune un disagio per quei fumetti, che – nei toni e nei contenuti – danno un’immagine caricaturale del mondo cattolico. Sullo sbattezzo in sé, naturalmente, non hanno nulla da dire, trattandosi di una decisione che attiene alla sfera più intima della persona. L’Unità, pur difendendo la propria scelta editoriale e ribadendo che i toni sono “ironici e paradossali”, ammette di condividere “pienamente la premessa politica” della lettera e ringrazia i parlamentari per il loro “spirito costruttivo”. Uno spirito che, evidentemente, su questo blog non hanno notato tutti: i commenti arrivati nelle settimane successive spaziano dall’insulto colorito (“impiccatevi pure con i vostri cilici, ma lasciateci vivere senza i vostri rantoli nelle nostre orecchie”) all’analisi politica ad personam (“con le preferenze, nel Pd non ti avrebbe votato nessuno: tu sei qui solo perché dobbiamo pagare dazio alla Chiesa”). Senza dimenticare le accuse di arroganza nei miei confronti, per aver ricordato che “l’Unità non è un giornale qualsiasi, ma l’organo di stampa del mio partito”: il che, nell’italiano che  ho studiato a scuola, significa una cosa (“Il mio partito ha a cuore la sintesi tra posizioni diverse, dunque mi aspetto dal suo organo di stampa lo stesso atteggiamento”), ma che in politichese è stato tradotto diversamente (“L’Unità non si permetta di criticare la Chiesa, se no vi facciamo togliere i finanziamenti per la stampa di partito e li diamo tutti ad Europa”). Qualche commento ricorda che la Chiesa poggia il suo potere sulle statistiche dei battezzati, ma qui mi basta ribadire quello che ho già detto: innanzitutto, che la lettera non era contro lo sbattezzo in sé, ma contro i toni del fumetto, che avrebbero fatto gridare allo scandalo se fossero stati utilizzati – mi limito ad un esempio – contro la comunità ebraica; inoltre, e chi segue la mia attività politica lo sa da tempo, la mia idea di cristianesimo ha ben poco a che fare con le statistiche  dei battezzati, tanto da aver scritto (proprio in quel post, ma chissà perché c’è l’usanza di leggere a righe alterne) che mi piacerebbe addirittura un ritorno alla Chiesa dei primi secoli, quella in cui ci si battezzava da adulti e solo al termine di un cammino di preparazione. Poi ci sono tutta una serie di commenti a margine, che affrontano temi rilevanti (la laicità ed i diritti civili, tanto per citarne due di cui mi occupo spesso qui sul blog), ma che non hanno nulla a che vedere con i contenuti di quella lettera. Che non condannava lo sbattezzo in sé, né  contestava la libertà editoriale di un giornale, ma poneva il problema – a mio parere quanto mai attuale – della ricerca nel Pd di una sintesi fra culture diverse, che non può passare attraverso l’insulto dell’altro. Se la mia colpa è quella di non aver colto la sottile ironia dei fumetti, chiedo scusa agli autori (che mi hanno scritto privatamente) ma – pur rileggendoli – proprio non ci riesco. Se invece è quella di non avere capacità di dialogo, credo che qualche penna calda abbia sbagliato indirizzo. Una postilla avevo aggiunto, in chiusura di quel post: “vince chi non nomina la parola teodem e chi non si mette a disquisire sulla liceità o meno dello sbattezzo, che a me sembra tanto evidente quanto la libertà di culto”. Ha vinto L’Unità, con la sua risposta intelligente e costruttiva.

Lobby e mezzo

Riassunto delle puntate precedenti. Il presidente del Consiglio partecipa alla festa di compleanno di una sua giovanissima amica, in quel di Casoria. Sua moglie, all’improvviso, decide che è ora di alzare il coperchio: mio marito è malato, aiutatelo. Partono le inchieste giornalistiche, la ragazza acquista notorietà. A quel punto, una escort più attempatella – sedotta ed abbandonata dal premier, ma pure un po’ stizzita per non aver avuto la  fortuna mediatica della diciottenne – solleva un coperchio ancora più pesante, documentando con foto e registrazioni quello che accade a Palazzo Grazioli. La polemica monta, anche all’estero, ma la Chiesa italiana decide di adottare una tattica prudente: Avvenire pubblica due fondi molto misurati, più un confronto fra posizioni diverse (“la vita privata di Silvio Berlusconi non è rilevante”; “sì, lo è”). Parecchi lettori, tra i quali anche diversi sacerdoti, la prendono come una chinata di capo di fronte al governo: al giornale della Cei arrivano numerose lettere di protesta, che il direttore non censura – come altri avrebbero fatto, ma Dino Boffo è una persona innanzitutto onesta – e pubblica integralmente, rispondendo di proprio pugno. Una, due, tre volte… alla fine, pur nella moderazione dei toni, emerge ciò che a molti appare scontato, ma che forse non era stato detto chiaramente: che  il mondo cattolico, cioè, non ha ancora il prosciutto sugli occhi, e che l’autonomia di giudizio non è barattabile con ipotetiche concessioni sull’8 per mille o quant’altro. Il presidente del Consiglio, nel frattempo, investe i soldi di Kakà per chiamare a dirigere il quotidiano di famiglia un giornalista molto aggressivo, che – dopo aver cercato invano di insabbiare il sexgate con le buone (“Siamo tutti puttanieri”) – adotta presto le maniere forti: tira fuori una lettera anonima che girava da parecchio tempo e ci costruisce una strategia speculare a quella di Repubblica nei confronti del premier. Solo che stavolta c’è di mezzo la Chiesa: per il momento tocca al direttore di Avvenire, scrive il sostituto di Kakà, poi vedremo. Alla fine, Boffo si dimette, mentre il presidente del Consiglio è sempre lì, ma questo è un altro discorso. “A brigante, brigante e mezzo”, scrisse espressamente Feltri prima di dare fuoco alle polveri, ed altri giornalisti (Giampaolo Pansa, Mario Giordano) fanno capire che la storia è appena cominciata. A meno che qualcuno – come si dice un po’ ruvidamente a Roma, e perdonatemi la rozzezza – non rientri in tazza: il Centrosinistra, perché nessuno è immacolato, e la stessa Chiesa, perché di lettere anonime se ne possono trovare a volontà. Da deputato di Centrosinistra, posso dire che non temo nulla: se anche uscisse l’inverosimile, mi auguro che il Pd sappia rispondere con uno stile diverso da quello dei suoi avversari, ribattendo ad ogni accusa con la chiarezza e, se necessario, prendendo provvedimenti. Da cristiano, confido che la Chiesa italiana imparato la lezione (“A lobby, lobby e mezzo”) ma non per questo rinunci alla missione di incidere sulla società. Dal basso, però.