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Tre indizi e una prova

Tre indizi fanno una prova. E per tre volte, nel giro di poche ore, sono stato attaccato personalmente in altrettante controversie politiche: tre problemi diversi (il testamento biologico, la deportazione dei rom dal Casilino 900, la macellazione dei cavalli), tre interlocutori diversi (un deputato leghista, un senatore Pdl, un giornalista del Foglio), tre attacchi in fotocopia. Tutti centrati sul mio passato televisivo, come se fosse una colpa.

Primo atto. Nella discussione sul testamento biologico, vi dicevo l’altro giorno, siamo al muro contro muro: basta che un emendamento contenga una parola problematica (volontà, autodeterminazione, articolo 32, invasivo…) e la maggioranza lo boccia. Così sono intervenuto per protestare, chiedendo al Centrodestra di fare chiarezza: se avevano intenzione di bocciarci ogni proposta indipendentemente dal merito, potevano dircelo subito ed avremmo risparmiato tempo. Al che, Massimo Polledri – il deputato leghista di cui sopra – mi ha risposto che del tema non capisco nulla, visto che vengo dai telequiz, e che probabilmente avevo nostalgia di ritornarci. Diversi esponenti della maggioranza (e pure il rappresentante del governo) sono venuti a chiedermi scusa, anche se non c’entravano nulla, ma io l’ho presa ironicamente: il giorno dopo, ho fatto arrivare in Aula a Polledri il mio curriculum, con un biglietto in cui gli chiedevo scusa per non averlo aggiornato con i telequiz.

Secondo atto. Ieri vi ho parlato del caso rom, in seguito al quale la comunità di Sant’Egidio ha abbandonato il tavolo con il Comune di Roma. In un comunicato stampa, lo definivo “un’operazione a casaccio”, che – citavo testualmente le critiche di Sant’Egidio – mandava all’aria anni di piccoli e grandi passi verso l’integrazione. E qui si è mobilitato Domenico Gramazio, senatore Pdl: Sarubbi, “volto televisivo prestato alla politica”, è “convinto di fare televisione e di essere il protagonista di una fiction”, mentre “parla di cose che non conosce”.

Riassumendo: non ci capisco niente di testamento biologico, perché vengo dalla tv, e non ci capisco niente neppure di nomadi, perché vengo dalla tv. Ma non è ancora finita.

Terzo atto. Come sapete, sono vegetariano. E per questo motivo sono stato tirato in ballo in un articolo del teocon Camillo Langone (quello che sul Foglio dà le pagelle alle Messe, e che in un libro cercava di convincere le ragazze sulla necessità di predicare bene e razzolare male) dal titolo significativo: “Com’è buono il cavallo”. Il passaggio che mi riguarda merita di essere citato per intero:

“Il democratico Andrea Sarubbi è uno dei pochissimi ministri del dio Equus non provenienti dal centro-destra. È un piacevole e pettinatissimo esemplare di clericale romano, allievo dei gesuiti che non sono riusciti a ficcargli in testa il Vangelo ma che gli hanno concesso il patentino di cattolico innocuo, indispensabile per entrare prima a Radio Vaticana e poi a Raiuno dove ha condotto la rubrica A sua immagine, una trasmissione che non ha mai convertito nessuno, l’equivalente televisivo di un brodo fatto col dado. A forza di andare in onda Sarubbi ha perso quel poco di fede, e adesso anziché credere in san Paolo caduto da cavallo crede nel cavallo”.

Tre indizi, dicevo, fanno una prova: la prova, probabilmente, che sto cominciando a dare fastidio.

Cambia menù

In un momento di antipolitica fervente come quello attuale, la notizia passerà magari come un’altra trovata della casta: gli onorevoli deputati non si accontentano di quello che passa il ristorante di Montecitorio e decidono di cambiare menù, poverini. In realtà, il pranzo vegetariano di oggi alla Camera (costato parecchi mesi di organizzazione e mediazione tra la Lav e gli uffici di Montecitorio) era un’iniziativa politica per lanciare la mia proposta di legge 1467 (“Norme per la tutela delle scelte alimentari vegetariana e vegana”), firmata anche – ormai è una piacevole consuetudine, nella mia attività parlamentare – da diversi colleghi della maggioranza: per ora siamo in otto (quattro Pd e quattro Pdl), ma dopo il riso arrostito con porcini e zucca preparatoci dallo chef Pietro Leemann credo che il consenso aumenterà. Il provvedimento, che trovate qui, è un tentativo piuttosto light di rendere la vita più facile ai due milioni e mezzo di italiani che non mangiano carne né pesce (e se contiamo anche chi mangia solo pesce arriviamo al doppio), garantendo loro la possibilità di un piatto vegetariano nelle mense pubbliche o nei luoghi di ristoro convenzionati. Chi mangia carne potrà naturalmente continuare a farlo, ci mancherebbe, ma il problema oggi è esattamente quello contrario: il numero di vegetariani è in crescita continua, mentre l’offerta di pietanze compatibili con la loro scelta è molto bassa. Si può essere vegetariani per tre motivi diversi: etico, salutistico, ambientale. Vado per titoli: nel primo caso, decido di non mangiare carne e pesce perché ho la possibilità di nutrirmi senza uccidere nessun animale, e la preferisco; nel secondo, scelgo di essere vegetariano perché – ad esempio – l’eliminazione del consumo di carne diminuisce del 50%  il rischio di infarto e del 45% quello di tumori del sangue; nel terzo, preferisco evitare la catena animale perché – come testimoniano gli studi economici più recenti – questa comporta uno spreco enorme di risorse idriche e di terre coltivabili. Ma non c’è bisogno di essere vegetariani per firmare la mia proposta di legge, ho scritto ai miei colleghi in una lettera accorata, in cui ho volutamente rinunciato alle citazioni colte (salvo quella famosa di Albert Einstein: “Niente porterà vantaggio alla salute umana ed aumenterà le possibilità di sopravvivenza della vita sulla Terra quanto l’evoluzione verso una dieta vegetariana”) ed ho cercato di convincerli con le buone: con un invito a pranzo, appunto, che ha contribuito a smontare diversi pregiudizi. Potrei citarvi Emerenzio Barbieri, collega reggiano del Pdl, cresciuto all’ombra dei prosciutti e del ragù: a 62 anni, ha mangiato vegetariano per la prima volta ed è rimasto colpito dalla qualità e dalla varietà dei piatti. Ma in generale, al di là di qualche sfottò dei carnivori più accaniti (Rosy Bindi in testa), l’esperimento è andato molto bene ed ha contribuito ad accendere i riflettori su una proposta di legge che, in altre legislature, è rimasta bloccata nei cassetti delle Commissioni e non è neppure riuscita ad arrivare in Aula. Non so se stavolta ce la faremo – gli agguati degli anti-animalisti sono sempre possibili, come ha mostrato la lobby della caccia in più di una occasione – ma le condizioni ci sarebbero: innanzitutto, c’è da votare un testo tutt’altro che talebano; inoltre, il tempo non ci manca, visto che nelle ultime settimane abbiamo chiuso i lavori direttamente il mercoledì. Ma di questo ultimo scandalo, vi annuncio, parleremo nei prossimi giorni.

Tra Bush e Chávez

Se parlassi dell’intervista della Iervolino a Repubblica, me ne rendo conto, farei più audience. E se facessi come le agenzie di stampa, che ricamano sul braccio di ferro tra Rutelli e Fassino, magari vi divertirei di più. Ma sono a Bruxelles per volare alto, e se penso che gli italiani andranno a votare a giugno pensando di dare un segnale a Berlusconi o Veltroni – mentre nel frattempo qui si decidono politiche più grandi delle nostre beghe – confesso che mi viene la depressione. “Gli elettori sono diventati cinici”, ha detto nel suo messaggio Graham Watson, il capogruppo dei liberaldemocratici al Parlamento europeo, ma ha aggiunto che “è compito nostro dar loro un’alternativa migliore al voto di protesta”. Bell’intervento di François Bayrou, uomo molto intelligente, che è partito dalla complessità del mondo attuale per chiedersi se – a livello politico – dobbiamo per forza scegliere tra Bush e Chávez, che in termini europei significa popolari o socialisti. Bella anche la testimonianza di tre parlamentari della Dc cilena: anche loro hanno chiamato in causa Chávez, ma per spiegare come l’alternativa in America latina sia “tra la democrazia governabile ed il populismo, sia di destra che di sinistra, che non riesce a vedere più in là del breve periodo”. Della crisi economica ci ha parlato stamattina Mario Monti, ma abbiamo ripreso il tema anche nella nostra risoluzione finale, che invita l’Unione europea a cogliere questa occasione per completare il processo di integrazione e porsi come soggetto politico credibile sulla scena internazionale. Stesso discorso per l’ambiente, con Francesco Rutelli che ha auspicato un ruolo attivo dell’Unione, invitata ad assumere un ruolo guida nel cambiamento: nella dichiarazione di principi, scritta da Bayrou ed approvata oggi all’unanimità, poniamo l’accento sullo sviluppo sostenibile e sui temi del clima, della biodiversità, dell’acqua. Forte anche l’attenzione al sociale: il Pde si impegna a lottare per la riduzione delle diseguaglianze tra ricchi e poveri, per la solidarietà verso le popolazioni che soffrono, per una politica cooperativa di tutti i Paesi membri. Infine, in mezzo a tante riflessioni politiche, porto a casa anche una piccola soddisfazione personale: Hervé Lejeune, vicedirettore generale della Fao, ha riconosciuto che l’aumento spropositato dei costi delle materie prime, dal grano in su, ha fra le cause principali il consumo di carne: se la catena alimentare passa per la carne rossa, tanto per fare un esempio, si utilizza una quantità di cereali 7 volte superiore a quella che si consumerebbe mangiando direttamente i cereali stessi. Ma non sono riuscito a convincere né Rutelli né Bayrou a diventare vegetariani.