Eccolo qui, il mio intervento di ieri. Più lo leggo, più mi rendo conto che forse avrei potuto sfoggiare un po’ più di ars retorica, buttando giù qualche frase ad effetto, e soprattutto avrei potuto evitare qualche anacoluto, perché sintatticamente è un discorso pieno di frasi smozzicate e di sottintesi. Ma quando parli con il cuore capitano anche queste cose. E con il cuore chiedo a voi di leggerlo.
ANDREA SARUBBI. Signor Presidente, innanzitutto, vorrei rivolgere un ringraziamento all’onorevole Sbai, che in questo intervento mi è sembrata la Souad Sbai che conoscevo fino a qualche mese fa, e che mi sembrava di aver perso per strada. Ringrazio anche tutte le persone che sono intervenute prima di me: sono presente in Aula da questa mattina e vi rimarrò fino all’ultima parola dell’ultimo intervento.
Avrei potuto – forse, avrei dovuto – scrivere un discorso, perché interventi di questo tipo restano agli atti (quindi, si rischia anche di fare qualche bella figura), ma in realtà, ho pensato che sarebbe stato meglio svolgere un intervento «a braccio». Mi scuso, pertanto, soprattutto con i nostri funzionari, per l’assenza di grammatica e di sintassi nel mio linguaggio, ma vorrei rispondere ad alcune questioni che sono emerse.
In primo luogo, vorrei dire in quest’Aula che, quando i miei amici della comunità di Sant’Egidio si rivolsero a me – ormai parliamo di quasi due anni fa – e mi chiesero di fare qualcosa perché venisse sbloccata l’impasse sulla cittadinanza, ricordai loro che il Partito Democratico aveva perso le elezioni e che, quindi, sarebbe stato difficile presentare una proposta di legge che ottenesse il consenso della maggioranza.
Pertanto, posi una condizione e dissi loro: se volete, possiamo lavorare insieme ad un testo che, però, non sia il testo di Andrea Sarubbi né della comunità di Sant’Egidio, ma un testo condiviso che possa piacere anche alla maggioranza, o a parte di essa.
Prendemmo in considerazione allora tutte le proposte di legge che erano a disposizione, anche quelle delle legislature precedenti, a partire dalla proposta a firma dell’onorevole Bressa, ma anche tante altre, e vedemmo che vi erano delle richieste che si ripetevano. In sostanza, il centrosinistra chiedeva sempre di rivolgere l’attenzione ai minori che nascevano o che venivano nel nostro Paese da piccoli e, per quanto riguarda gli adulti, chiedeva sempre lo snellimento e la riduzione dei tempi richiesti per la concessione della cittadinanza.
Guardando, invece, alle proposte del centrodestra, era sempre presente la richiesta di alcuni requisiti ben precisi, quali la fedina penale o il test di integrazione, che mirassero ad una cittadinanza qualitativa, e vi era anche un giuramento sulla Costituzione, sul quale ricordo benissimo di avere ascoltato il Ministro La Russa che poi, purtroppo, evidentemente non ha capito lo spirito della proposta bipartisan che tanti oggi in quest’Aula hanno citato.
Infatti, quando si cominciò a parlare della proposta di legge n. 2670, che nei telegiornali è diventata la Sarubbi-Granata, il Ministro disse che l’iniziativa era di due peones in cerca di visibilità. A me questa dichiarazione fece molto male allora e mi ha fatto male anche risentirla questa mattina in Aula. È questa la prima critica che vi faccio nel metodo. Perché si dice che sono necessarie le riforme, che è necessario un dialogo e ci si richiama agli appelli del Presidente Napolitano, e poi la prima volta che due persone, anche rischiando di far arrabbiare i propri schieramenti di appartenenza, cercano un dialogo e lo cercano a metà strada, questo diventa un inciucio, diventa una manovra di visibilità personale? Sinceramente, questa è un’accusa che, con tutto il cuore, mi sento di rispedire al mittente.
L’altro aspetto che mi sembra un po’ strano di questo testo unificato è il modo in cui è arrivato all’esame dell’Aula. Si tratta di un testo che l’opposizione ha chiesto di calendarizzare, quindi, come si dice da queste parti, è in quota opposizione. In tale proposta, però, di quello che ricordavo poco fa, cioè delle classiche richieste del centrosinistra e del centrodestra, una parte viene presa e buttata via e si tiene solo l’altra; è cioè una proposta in quota dell’opposizione che la maggioranza ha preso, riveduto e corretto, facendola diventare una proposta soltanto propria. Lo capisco, è legittimo dal punto di vista politico, ma non mi sembra il miglior viatico per un dialogo: se si parla di riforme, che siano riforme condivise. Visto che non stiamo parlando dell’etichettatura dei tappi dei barattoli – che pure è una cosa degnissima, ma che non cambierà l’Italia per i prossimi 17 o 18 anni – quello che in tutti questi mesi non sono riuscito a capire è come mai l’abbia avuta vinta la tentazione di ridurre tutto a tattica politica. Se i dissidi interni alla maggioranza si fossero manifestati sui tappi di barattolo avrei capito che potesse esserci una ritrosia, ma se i dissidi interni alla maggioranza si manifestano su una legge così importante, non capisco come mai non si entri nel merito piuttosto che dire «non facciamo un piacere a questo o a quest’altro».
Mi sembra, quindi, che per ora sia stata accolta soltanto quella parte delle richieste di riforma che storicamente proviene dal centrodestra. Per questi motivi, chiedo alla relatrice, in particolare, di fare un passo avanti e di ricordarsi che esiste un’altra metà del Parlamento, che poi suppongo sia più di una metà e gli interventi di oggi lo hanno dimostrato; alla fine faremo i conti, così come abbiamo fatto in Commissione cultura, dove 7 deputati del Popolo della Libertà su 12 hanno detto che i minori meritavano un’attenzione particolare, senza considerare tutti i deputati del Partito Democratico, dell’Unione di Centro e dell’Italia dei Valori. Se volete su questo potremo sfidarci e vedremo chi vincerà, ma non credo che le riforme si possano fare a colpi di maggioranza: sarebbe utile se, invece, prima trovassimo insieme un accordo.
Questa mattina ho sentito delle enormi inesattezze. Oltre a quella dei peones in cerca di visibilità, ne ho sentita un’altra dal collega Bianconi, che è arrivato ad accusarci di cittadinanza imposta e di cittadinanza coatta. Mi chiedo se anche dare lo sciroppo per la tosse ai bambini sia un atto di violenza. Di cosa stiamo parlando, di una cittadinanza che viene imposta a delle persone che non aspetterebbero altro e che non possono chiederla perché non hanno compiuto 18 anni? Ma siete andati fuori, mentre stavamo qui in Aula, siete andati a sentire i ragazzi delle seconde generazioni, a chiedere loro se sono italiani o no, come hanno trascorso la loro infanzia e l’adolescenza e come si sono trovati a 18 anni quando il pulmino che li portava a scuola poi poteva condurli improvvisamente in galera? Vi sembra una cosa normale?
Credo che su questo sia necessario trovare una soluzione, altrimenti faremmo tutti gli ingegneri costituzionali, e voi di ingegneri costituzionali siete ricchi: siete persone che ragionano in punta di comma… e beati voi che ne sapete così tanto di diritto! Ma poi, lo avete mai incontrato un ragazzo delle seconde generazioni, un ragazzo che magari si chiama Xianping che, però, qui in Italia si fa chiamare Valentino e che non si sente null’altro che italiano? Ci avete mai parlato? Perché quando dico certe sigle – G2, ANOLF – i miei colleghi, ingegneri costituzionali, mi guardano con gli occhi sgranati, come se stessi parlando di cose folli. Invece, vorrei dirvi che esistono sia queste sigle, sia queste persone.
Una cosa sola vi chiedo, senza confondere integrazione, sicurezza e tutto il resto: attenzione a non fare lo sbaglio che fece la Germania negli anni Sessanta. Quando sento dire dal capogruppo della Lega – il vostro candidato in Piemonte, Roberto Cota – che gli immigrati vengono qui per andarsene via, mi viene in mente la Germania degli anni Sessanta, quando si chiamavano gli immigrati di corsa, perché servivano braccia e non persone, e si diceva loro: «Vieni, vieni, stai qui. Riempiti i calzini di marchi e vattene via il prima possibile!». Non vi era alcun ricongiungimento familiare né interessava che si apprendesse la lingua. Si diceva: «Fai il gelataio? Impara a dire in tedesco fragola e pistacchio e a noi va bene così!». Ma che faceva poi questo signore del Bangladesh o della Turchia? Nel tempo libero si vedeva con i signori del Bangladesh e della Turchia. E quale convivenza aveva con la società che lo circondava? Nessuna. Cosa faceva? Si chiudeva in un ghetto. E cosa porta il ghetto? La devianza. Dunque, se non vi è integrazione non vi è neanche sicurezza. E se non vi è il senso di appartenenza a una comunità non vi è neanche integrazione.
Vi chiedo di volare un po’ più alto. Oggi ho sentito l’onorevole Santelli parlare in termini di gens romana. In questo caso non si deve parlare in termini di gens, ma in termini di communitas, che è qualcosa di diverso dal legame di sangue. Sono certo che l’onorevole Bertolini, anche per le sue radici profondamente cristiane, capirà quello che sto dicendo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico – Congratulazioni).